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Metaforum

Italicum, bocciata la parità di genere

11 Marzo 2014 , Scritto da Metaforum Con tag #Politica, #Parita' di genere

Italicum, bocciata la parità di genere
Italicum, bocciata la parità di genere

«Bisogna mettere le quote blu»

—Carlo Lania, 10.3.2014

La sociologa Chiara Saraceno. «Non serve una legge per le donne,bisogna rompere il monopolio maschile»

«Ma quali quote rosa. Guardi sono cate­go­rica: qui il pro­blema vero è di quote blu, o azzurre se pre­fe­ri­sce, nel senso che va ridotto il numero di uomini pre­senti in par­la­mento. Biso­gna met­tere fine a que­sto mono­po­lio. Ecco cosa ser­vi­rebbe dav­vero: una norma anti­mo­no­po­li­stica». Chiara Sara­ceno, socio­loga che da anni si occupa anche della con­di­zione fem­mi­nile, guarda con occhi quasi indi­gnati a quanto accade in que­sti giorni in par­la­mento. «Sono stanca che la que­stione venga sem­pre for­mu­lata in ter­mini di quote delle donne», dice. «Non si tratta di un pro­blema solo les­si­cale, ma con­cet­tuale e di pro­spet­tiva: la que­stione è la ridu­zione del mono­po­lio maschi­lee infatti è pro­prio così che chi si oppone lo sta per­ce­pendo: come la rot­tura di un mono­po­lio. E’ per que­sto che in un qua­dro isti­tu­zio­nale come quello che si sta deli­neando e che trovo par­ti­co­lar­mente orro­roso, in cui sono rima­sti i listini bloc­cati, in cui nes­suno entra per­ché ha par­ti­co­lari meriti ma solo per­ché scelto da qual­cun altro, non si instauri il prin­ci­pio dell’alternanza nelle liste, un uomo e una donna. Così si afferma che gli uomini sono più bravi. Cic­chitto e Gasparri dicono: «Biso­gna che le donne pro­vino il merito». Ma per­ché loro l’hanno provato?

Lei dice: è anche una que­stione di lin­guag­gio. Ma non sarà che in realtà le donne non sono con­vinte di que­ste bat­ta­glia? E poi c’è un dato di fatto: sono le donne che non votano le donne.

Que­sto non lo può più dire. Lo dice­vamo quando io ero gio­vane, che le donne non vota­vano le donne, ma c’erano le pre­fe­renze. E anche allora non era faci­lis­simo, per­ché uno doveva andare a cer­carle con il lan­ter­nino visto che i par­titi che le met­te­vano in lista poi non le ren­de­vano anche visi­bili. Ma è da un bel pezzo che non è più così.

Ciò non toglie che solo la mino­ranza delle depu­tate ha fir­mato al peti­zione sulle quote rosa. Che dif­fi­coltà tra­di­sce que­sto dato?

Dif­fi­coltà mul­ti­ple. Primo: a nes­suna di noi piace essere una quota, per­ché viene per­ce­pita come una quota pro­tetta, scelta non sulla base del merito ma per­ché riem­pie appunto la quota. Come se gli uomini poi fos­sero sem­pre scelti sulla base del merito. Credo inol­tre che ci sia anche il timore di ini­mi­carsi gli uomini, e quindi di non essere più messa in lista. Per quanto riguarda il Pd, poi, Renzi ha dato un mes­sag­gio chia­ris­simo: non è un tema impor­tante, non ha fatto parte delle negoziazioni.

Però Renzi dice: io la parità la pratico.

Ma que­sto non mi importa, per­ché il pro­blema non è che il sin­golo indi­vi­duo pra­ti­chi la parità, cosa oltre­tutto falsa per­ché sì, è vero che il 50% dei mini­stri sono donne, ma tre sono senza por­ta­fo­glio. Ma comun­que la parità non può essere affi­data alla pura buona volontà. Renzi ha anche detto: la vera parità è che le donne pren­dano lo stesso sti­pen­dio degli uomini a parità di lavoro. Già, ma le donne spesso non rie­scono nep­pure ad avere la parità di lavoro. E allora tu devi garan­tire che pos­sano cor­rere con le stesse possibilità.

Ma è giu­sto sta­bi­lire la parità di genere per legge?

La parità nella corsa sì, asso­lu­ta­mente. Vede, io a lungo ho spe­rato che sarebbe avve­nuto un muta­mento cul­tu­rale, ma così non è stato. Anche Paesi cul­tu­ral­mente più evo­luti del nostro per arri­vare a un rie­qui­li­brio tra uomini e donne in par­la­mento hanno dovuto in qual­che modo intro­durre un sistema di ridu­zione della quota maschile. Que­sto è avve­nuto in modi diversi: in alcuni Paesi per legge, in altri gra­zie ad alcuni par­titi che hanno comin­ciato a farlo e gli altri hanno capito che non pote­vano restare fuori da que­sta com­pe­ti­zione. Ma in nes­sun caso la cosa è avve­nuta in modo evo­lu­ti­va­mente natu­rale, altri­menti ci sareb­bero voluti due­cento anni.

Il fatto che il governo si sia rimesso all’aula non è la prova che se ne lava le mani? Così come i par­titi che hanno lasciato libertà di votare secondo coscienza.

E’ gra­vis­simo. Ed è inte­res­sante la scelta dei par­titi che con­si­de­rano l’intera que­stione un caso di coscienza, non un caso di demo­cra­zia. Ma trovo gra­vis­simo anche che le mini­stre non si siano espresse. Se loro sono lì, al governo, non è per­ché Renzi è bravo, ma per­ché in pas­sato ci sono state delle lotte che hanno fatto sì che il pro­blema della rap­pre­sen­tanza fem­mi­nile venisse fuori e matu­rasse. Quindi hanno delle respon­sa­bi­lità nel far­sene carico. Il loro silen­zio invece fa paura.

«Renzi ha perso, e più delle donne»

—Daniela Preziosi, 11.3.2014

Riequilibrio di genere. La femminista Alessandra Bocchetti: brave, sul riequilibrio di genere è stata una battaglia vera, non finisce qua. «Serve un’opinione pubblica femminile che guardi alle elette, anche giudicandole. È il tempo del patriarcato dei fratelli, può avvenire di tutto perché si è fra pari». «Ho votato Matteo, ma stavolta ha ceduto a Berlusconi»

Nel suo stu­dio, nella sto­rica via dell’Orso di Roma, in quella che fu la sede del cir­colo Vir­gi­nia Woolf (ha diretto il gruppo B, quello della teo­ria dell’affidamento, per chi cono­sce quella sto­ria) e del Cir­colo della Rosa, Ales­san­dra Boc­chetti sta facendo alcune tele­fo­nate. La sto­ria di Valen­tina, la donna costretta ad abor­tire da sola in un ospe­dale pieno di medici obiet­tori, ha già sbia­dito il colpo del no al rie­qui­li­brio di genere pro­nun­ciato la notte di lunedì dalla camera. Boc­chetti, un’istituzione del fem­mi­ni­smo ita­liano, quasi la sua auto­bio­gra­fia, espo­nente del pen­siero della dif­fe­renza, con­voca per le sette «quelle che hanno ancora voglia di lot­tare». Prima però ha scritto un tweet per Mat­teo Renzi, che pure ha votato alle pri­ma­rie. «Hai perso pure tu cla­mo­ro­sa­mente. È stato più forte Ber­lu­sconi. È que­sta la verità del tuo governo?». Ini­ziamo dalle fami­ge­rate quote rosa. «Ma quali quote. 50 e 50», nelle liste, fra i capi­li­sta, «non è una quota, è un’idea di governo insieme, uomini e donne. Ha la radice teo­rica non nell’uguaglianza, ma nella dif­fe­renza. Signi­fica equi­li­brio di un paese di uomini e di donne».

Non sarebbe stata una cami­cia di forza, una scelta troppo normativa?

60 e 40 sono quote. 50 no. Ma certo, una media­zione ci poteva stare. Invece no anche alla mediazione.

Si sapeva, e anche che avreb­bero chie­sto il voto segreto. Per otte­nerlo basta­vano 30 depu­tati, e invece l’hanno chie­sto in 46, tanta era la paura.

Renzi giura che assi­cu­rerà l’alternananza uomo-donna nelle liste del Pd. Ma non intro­durla per legge cos’è: un arre­tra­mento, un disvelamento?

Sicu­ra­mente è un cedi­mento a Ber­lu­sconi. Il fatto stesso che Renzi non rie­sca a farla pas­sare dimo­stra che sta sotto il tacco di Ber­lu­sconi. È stato una per­dita per tutti, per le donne e per Renzi.

Le donne del Pd si sono rivol­tate. La vicenda si ria­prirà al senato?

La cosa non fini­sce qua, è sicuro. La lotta di que­ste donne insieme ad altre mi è pia­ciuta molto. Mi ha sor­preso, lo dico con affetto, per­ché per la prima volta in un’istituzione si è vista una lotta fra gli inte­ressi delle donne e quelli degli uomini. Poi ci sono anche gli alleati delle donne, sem­pre troppo pochi. Abbiamo assi­stito a un pro­cesso di verità: gli uomini vogliono i voti delle donne, non le donne in par­la­mento. E fanno di tutto. Anche la fur­bata di met­tere due uomini con­se­cu­tivi in lista è fatta appo­sta per far fuori le donne.

Lei ha scritto: «Un governo senza donne oggi è impen­sa­bile». Ma dev’essere la legge a imporlo?

Intanto è un altro gua­da­gno del fem­mi­ni­smo nel senso comune. Oggi in Europa non si dà governo che si pre­senti senza donne. E da cosa dipende? Dalla forza delle donne. Fosse per i par­titi, ne fareb­bero a meno.

Non è la poli­tica scre­di­tata che chiama le donne per ripu­lirsi la faccia?

No, nean­che se stesse affogando.

Come giu­dica gli uomini che hanno votato no senza dichiararlo?

Non ci hanno messo la fac­cia. Un tempo c’era il padre che faceva ordine, e se ti asse­gnava un posto te lo rispet­tava. Adesso invece viviamo il patriar­cato dei fra­telli, dove gli uomini hanno ancora molto potere. Ma tra fra­telli tutto è pos­si­bile. Tra­di­menti, sgam­betti, non verità. Nono­stante la fra­tel­lanza sia con­si­de­rata sen­ti­mento rivo­lu­zio­na­rio, le donne sanno, per­ché vivono nella vita pra­tica, che quello fra i fra­telli è un rap­porto peri­co­loso. Può venire anche a man­care il rispetto: per­ché si è pari.

E poi c’è la rela­zione fra elette e elet­trici, sem­pre com­pli­cata. Secondo lei l’opinione pub­blica ha soste­nuto la bat­ta­glia delle deputate?

Que­sta è una nota dolente. Io lamento la man­canza di un’opinione pub­blica fem­mi­nile forte, capace di appog­giare le donne, ma anche e soprat­tutto di san­zio­narle. Le donne in par­la­mento potreb­bero com­por­tarsi meno neu­tral­mente se sen­tis­sero un’opinione pub­blica che le guarda, che non le abban­dona. E invece il distacco fra le poli­ti­che e le donne ’fuori’, nella società, c’è. La mag­gior parte delle donne sono elette per la forza delle donne. Ma le donne ven­gono messe lì da un par­tito, e un par­tito ha biso­gno di fedeltà. E spesso suc­cede che le donne rispon­dano all’ultima media­zione, quella del par­tito, e non alla prima, la più forte, quella delle donne. Que­sto è un pro­blema da affron­tare. Ma lo si risolve creando una forte opi­nione pub­blica femminile.

Ma come? Sono poche le donne, fuori dal par­la­mento, che si sono fatte sen­tire sulla que­stione elettorale.

Que­sta scar­sità c’è. Nel pri­vato le donne sono pronte a giu­di­care le altre, ma evi­tano di met­terci la faccia.

Evi­tare di attac­care un’altra donna non è un’abitudine, forse per­sino una sorta di disci­plina femminista?

No, è un luogo comune. O comun­que è un errore. Non siamo un tutt’uno, le donne vanno anche giu­di­cate. Ma è vero che quando una donna sente par­lare un’altra donna impor­tante, o con una forte espo­si­zione, il suo primo impulso non è cono­scere, ascol­tare, ma iden­ti­fi­carsi. Che sia all’assemblea dell’Onu o a una tra­smis­sione poli­tica, in quel momento rap­pre­senta anche lei, e le donne in un certo senso. E se sba­glia, è un dolore per cia­scuna e per tutte. È un grave errore, che nasce — non lo giu­sti­fico ma lo spiego — dal fatto, che abbiamo avuto una sto­ria pesante. È un feno­meno che riguarda i gruppi sociali che ne hanno pas­sate tante, gli ebrei, gli schiavi, i neri. Suc­cede, è indub­bio, ma va supe­rato. Per­ché le donne sono tante e dif­fe­renti. Supe­rare que­sta sto­ria non è facile ma è il cam­mino della libertà. Per que­sto parlo di pre­senza in poli­tica e non di rappresentanza.

Gli uomini non rap­pre­sen­tano ’gli uomini’. Per le donne invece si crea una deriva di senso. È chiaro che quella bat­ta­glia alla camera ci faceva pia­cere, e molte di noi si sono sen­tite un po’, rap­pre­sen­tate. So bene che le depu­tate lot­ta­vano per sé, per­ché altri­menti molte al pros­simo giro non saranno elette. Ma era la situa­zione ideale di quando una donna lotta per sé e lotta per tutte.

E quindi se oggi nascesse un par­tito sepa­ra­ti­sta, non avrebbe la pos­si­bi­lità di can­di­dare solo donne.

Bonne chance, ma un par­tito di sole donne dal mio punto di vista è sba­gliato. Comun­que è fuori dalla legge. Le pari oppor­tu­nità, la rispo­sta delle isti­tu­zioni al fem­mi­ni­smo, che non ha dato grandi risul­tati, le abbiamo fatte noi.

Pro­prio lei, una sto­rica separatista?

Io sono ancora molto sepa­ra­ti­sta, mi piace lavo­rare con le donne e anche nella sepa­ra­tezza. Le rifles­sioni delle donne senza gli uomini sono più libere, e pure più sim­pa­ti­che. Ma la poli­tica serve per gover­nare que­sta società e la società la deb­bono gover­nare uomini e donne insieme. E vor­rei aggiun­gere un’altra riflessione.

Prego.

A Mon­te­ci­to­rio le donne sono più del 30 per cento. La quan­tità ha fatto massa cri­tica, ha fatto la dif­fe­renza. Per que­sto dico ’50 e 50’: la bat­ta­glia della camera, anche persa, è stata la prova che più donne ci sono, più sono libere e capaci di rea­gire. La massa cri­tica ti auto­rizza. In un mondo degli uomini tu non sei auto­riz­zata, al più trasgredisci.

Agli ita­liani e alle ita­liane, dicono i son­daggi, que­sta idea del rie­qui­li­brio per legge piace poco. Anzi, importa poco.

In teo­ria sarà anche così. In pra­tica di una società squi­li­brata si pagano le con­se­guenze tutti i giorni.

Dicono le gril­line: ’alle donne serve il wel­fare, non il rie­qui­li­brio per legge’.

Alle donne serve il wel­fare, vero. Que­sto paese è tenuto in piedi dalle donne, la fami­glia, il rispar­mio che regge le ban­che lo fanno le donne. Alle donne serve tutto. Per­ché met­tere le cose in con­tra­sto? E poi chi legi­fera sullo stato sociale? In un par­la­mento di uomini è la prima cosa che tagliano. Con più donne sarebbe più difficile.

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